Il Civico
Museo della Ceramica "Manlio Trucco" di Albisola
Superiore, tra le sezioni permanenti che occupano il piano
superiore - mentre il pianterreno è riservato alle mostre
temporanee - possiede una Sezione Didattica dedicata alla
"Produzione ceramica di Albisola dalla fine del XV al
XIX secolo". Questa sezione, che occupa il salone
principale, si compone attualmente di sedici vetrine.
Ciascuna vetrina o gruppo di due vetrine
presenta materiali relativi ad un particolare periodo della
produzione ceramica di Albisola.
Di queste sedici vetrine, otto contengono
reperti archeologici provenienti da scavi effettuati nelle
discariche di antiche fornaci da ceramica da un gruppo di
volontari albisolesi diretti dalla sottoscritta, su
concessione del Ministero dei Beni Culturali all'Istituto
Internazionale di Studi Liguri.
Una nona vetrina contiene altri reperti
archeologici ricuperati presso via Salomoni nel 1933 dal
pittore Mario Gambetta, donati al museo dalla figlia Mimma.
I reperti più antichi, ricuperati in uno
scavo della Soprintendenza Archeologica nel centro storico
di Albissola Marina, tra i quali sono già presenti i due
filoni della produzione albisolese, le maioliche e le
terrecotte ingobbiate, risalgono all'ultimo quarto del XV
secolo, data nella quale avrebbe inizio, secondo i dati
attualmente in nostro possesso, la produzione ceramica
albisolese, mentre quella di Savona ha origini molto più
antiche.
Nel Cinquecento le ceramiche di Albisola
sono già largamente conosciute e apprezzate; ceramisti
albisolesi sono chiamati in varie parti d'Europa, ad esempio
a Siviglia, dove decorano con "laggioni", o
piastrelle da rivestimento per pavimenti e pareti, edifici
pubblici e religiosi.
Vari esemplari di queste piastrelle
provengono dalla donazione Gambetta, insieme a pregevoli
esempi di piatti in maiolica a smalto berettino di colore
blu scuro, che costituiscono il più notevole gruppo oggi
conservato in Liguria di questo genere di ceramica tipico
del Cinquecento.
Altri "laggioni" qui esposti si
presume che provengano da rifacimenti di antiche cappelle
della chiesa di San Nicolò di Albisola Superiore.
Uno scavo compiuto sotto il rilevato
della vecchia linea ferroviaria in Albissola Marina, ha
messo in luce un pavimento in mattoni databile all'inizio
del Seicento appartenente ad una casa di via Stefano Grosso
demolita nel secolo scorso per far passare la linea ora
dismessa. Il pavimento
sigillava una piccola discarica, un "butto"
omogeneo, che ha fornito dati inediti sulla produzione di
maiolica del periodo, ancora quasi totalmente sconosciuto,
intercorrente tra la maiolica a smalto berettino e i "laggioni"
cinquecenteschi e la grande produzione in monocromia azzurra
dell'avanzato Seicento, per la quale Albisola e Savona sono
ovunque conosciute: sono maioliche a fondo bianco, o ancora
berettino spesso meno intenso di quello dei piatti della
donazione Gambetta, decorate con motivi vegetali molto
stilizzati, una produzione già iniziata nel Cinquecento, ma
che sembrerebbe aver avuto la sua massima diffusione a
cavallo tra Cinquecento e Seicento.
Accanto vi sono oggetti decorati in stile
compendiario monocromo e policromo, tra i quali una
interessante fiasca da pellegrino decorata in azzurro con
motivi religiosi.
La fornace Giacchino di Albisola
Superiore, la prima ad essere da noi esplorata nel 1983, ha
fornito una documentazione molto abbondante sulla
produzione, sia di raffinate maioliche in monocromia azzurra
con alcuni importanti marchi di fabbrica, tra i quali la
"lanterna" dei Grosso e il "pesce" dei
Pescio, sia di terrecotte ingobbiate e graffite, tra le
quali quelle destinate ai conventi, che sino ad allora si
credevano importate da Pisa.
E inoltre ingobbiate monocrome e
policrome di uso corrente, terrecotte marmorizzate, vasi,
vasetti e pentole e ogni oggetto di uso domestico, e infine
le bottiglie con gli anelli attorno al corpo per uso delle
navi.
Questo complesso di reperti è databile
tra gli ultimi anni del Seicento e il 1710, quando la
fornace apparteneva, prima a Carlo Pescio, quindi al genero
Carlo Antonio Grosso.
Altra parte della discarica ha restituito
quella che allora si chiamava "terraglia nera" e
che noi oggi definiamo terracotta a "taches noires",
usando un termine coniato dal prefetto napoleonico Chabrol.
Ma quest'ultimo tipo di terraglia nera e
a "taches noires", che si ritiene prodotta a
partire dal terzo decennio del Settecento e che ebbe una
enorme diffusione, anche sul continente americano, ci è
stata restituita in grande quantità dal ricupero più
recente, quello avvenuto nel corso dei lavori di
ristrutturazione della fornace di Pozzo Garitta adibita a
sede del Circolo degli Artisti.
Questo materiale, che era unito a
maioliche povere e che è databile ai primissimi anni
dell'Ottocento, corrisponde perfettamente al gruppo di
oggetti che il prefetto Chabrol nel 1809 aveva inviato a
Parigi in occasione di un'inchiesta compiuta in tutti i
dipartimenti dell'impero napoleonico sullo stato delle
fabbriche di ceramiche.
Questi oggetti si trovano oggi nei
depositi del Museo Nazionale delle Ceramiche di Sèvres.
I reperti del Circolo degli Artisti
entreranno prossimamente al Museo Trucco.
Se ne prevede la presentazione durante la Settimana dei
Musei, che si svolgerà dal 12 al 19 aprile 1999.
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