Resti del carico del leudo - foto di Carlo Brizi

 

Il leudo del mercante

di Gian Piero Martino


LEUDO DEL MERCANTE

Si trattava forse di un leudo che viaggiava carico di recipienti di ceramica da cucina d’uso comune, naufragato sui fondali varazzini in età tardo-rinascimentale. La presenza di un relitto, segnalata del 1990 nelle acque di Varazze dai subacquei Sardi ed Andreone ha determinato da parte della Soprintendenza Archeologica della Liguria l’elaborazione di un paino d’intervento, supportato dalla consulenza ministeriale del Servizio tecnico per l’archeologia subacquea, articolato in due fasi: una preliminare di ricerca e di documentazione ed una seconda di selezione delle metodologie da utilizzare per la protezione e per la ricopertura. Il deposito archeologico che aveva l’aspetto di un cumulo ellittico di cinque metri per otto, giaceva a circa un miglio e mezzo dalla costa, di fronte al porto di Varazze, ad una profondità compresa tra i 44 e i 46 metri, molto vicina, quindi, ai limiti di sicurezza stabiliti per i lavori con autorespiratori ad aria. Già nello strato superiore erano chiaramente individuabili diverse forme intatte, rimaste in situ fin dall’epoca del naufragio; ultimata quindi una pulizia superficiale si praticò il primo saggio stratigrafico. Rimosse quattro pile di bacini sovrapposti e stivati capovolti, con al centro un vaso tronco/conico contenente un boccale, tornava alla luce un breve settore dello scafo: due costole ed un tratto di chiglia. Le indagini degli anni successivi hanno consentito l’allargamento dello scavo con il recupero di altro materiale fittile e di elementi lignei e di fissare la data del naufragio in un periodo compreso tra il 1545 e il 1625. L’imbarcazione era adibita al trasporto di un carico formato prevalentemente da recipienti ceramici da cucina d’uso comune, disposti ordinatamente sul fondo dello scafo, senza alcuna protezione. Trattandosi di forme quasi esclusivamente circolari, gli angoli delle pile di recipienti stivati al contrario (bacini e giare) erano utilizzati secondo il principio del massimo sfruttamento dello spazio utile per la collocazione di cantari, pentole, vasi da fiori, posti con l’imboccatura in alto, all’interno dei quali erano a loro volta alloggiati esemplari di minore dimensione come piccole pentole e boccali. Buona parte del materiale recuperato arreda attualmente le cucine di Palazzo Spinola in piazza Pellicceria e può essere quindi ammirato in questa sede.


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